We Don't Design promuove la possibilità di sperimentare attraverso gli oggetti nuovi percorsi che guardano anche all'arte, al gioco, al sogno e alla metafora.
We Don’t Design è un universo cangiante, una cosmogonia libera e poetica immaginata da Francesco Meneghello per raccogliere in un unico format visioni e astratte sperimentazioni che abbracciano i mondi dell’arte e del design. Non un brand, non una collezione ma un contenitore di esperienze progettuali radicali e anticonformiste, come il mondo immaginifico di Francesco Meneghello. Esperienze diversissime tra loro che indagano in modo trasversale materiali e lessici formali.
In comune hanno un sistema valoriale – codificato nei nove punti del manifesto We Don’t Design – in cui i valori di autenticità, indipendenza e responsabilità rappresentano il cuore del progetto. E parole preziose, come sostenibilità e durabilità, contemplano una profonda riflessione sulla qualità dei manufatti e il rifiuto del culto per la rapida dismissione delle cose. “Una riflessione necessaria in un mondo inutilmente ridondante di oggetti vuoti di senso”.
We Don’t Design promuove la possibilità di sperimentare attraverso gli oggetti nuovi percorsi che guardano anche all’arte, al gioco, al sogno e alla metafora.
“I miei progetti forzano il rigido binomio forma/funzione razionalista. Cercano piuttosto di suggerire un’interazione più libera, personale, consapevole tra l’uomo e l’oggetto”. In campo ci sono tutti i riferimenti culturali e artistici di Francesco Meneghello: la sua confidenza con il design razionalista, che ama scomporre e sovvertire nelle sue regole pur traendo da quel mondo il suo gusto per la forma minima. E la sua fascinazione per il mondo delle avanguardie artistiche del secondo dopoguerra italiano, milanese in particolare, che al rigore teorico del pensiero razionale opponevano la potenza espressiva di un segno vitale e inquieto, come accede nella ricerca di Lucio Fontana e Piero Manzoni. Non manca il riferimento al mondo della moda, alle avanguardie anni Novanta, soprattutto al culto per la decostruzione, l’astrazione e l’assenza che ha caratterizzato la ricerca di Martin Margiela.
We Don’t Design lavora sull’idea di pièce unique, riproducibile in serie attraverso edizioni limitate e numerate, allontanandosi dalle dinamiche economiche e sociali della produzione massiva e sfiorando idealmente l’idea di serialità della Pop Art. Protagonista di ogni progetto è il pensiero, la genesi sempre diversa che porta dall’idea alla forma tangibile degli oggetti. Oggetti puri, Abstract Objects, immaginati senza sovrastrutture decorative che possano richiamare una moda, senza loghi che possano identificarli come merce. “Oggetti assoluti, pensati per ispirare un senso di affezione in chi li sceglie e li vive, come se fossero stati già nei suoi pensieri, che siano sogni o utopie.”
Il primo oggetto, disegnato dallo stesso Francesco Meneghello, si chiama Mirrorless ed è un’architettura che nega l’idea fisica e bidimensionale dello specchio, un libero tributo alla spazialità delle tele di Lucio Fontana. La superficie riflettente è assente, diventa spazio e acquista un senso metafisico. Ciò che manca, l’immagine riflessa, è il centro della composizione, l’elemento straniante e irreale rispetto a una realtà che replica virtualmente i volti mille e mille volte ancora. Forzatamente lo sguardo è attirato oltre, lo specchio diventa una finestra sulla realtà – non a caso nel classico formato fotografico 2:3 – che esiste oltre l’io. Sulla superficie in acciaio inaspettatamente tutto si riflette eccetto il volto. Figura umana e paesaggio diventano tutt’uno, in una sorta di rappresentazione universale.
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