Pubblichiamo di seguito l’editoriale di Oscar G. Colli: riflessioni sulla storia delle emergenze sanitarie e su tutto ciò che hanno generato in passato.
Premetto che non esiste nessuna volontà da parte mia di competere con il sapere dei giornalisti che, su questo argomento stanno dibattendo da mesi. Intendo raccontare tutta un’altra storia, che ha certamente risvolti politico-sociali, legati alle grandi epidemie ma che nasce dalla mia innata curiosità per la storia, forse per il fatto che – per origine materna – derivo da un paio di etnie, pur essendo italiano a tutti gli effetti. Da moderato, come mi considero, con l’intervento che segue (e che a molti farà arricciare il naso), vado ad affrontare una tragedia, partendo da considerazioni, non virologiche di cui nulla so ma atteggiamenti comportamentali dei connazionali narrate in uno spazio che non permette ulteriori disgressioni.
Nei mesi conclusivi della mia fanciullezza, quelli che sottolineavano l’imberbe ma progressivo passaggio al ben più responsabile ruolo di giovane, mi posi – come tutti ritengo – i primi quesiti esistenziali di che cosa avrei fatto da grande! La scuola paterna, marcatamente piemontese, pragmatica ed efficentista, suggeriva attività pratiche e remunerative! Io sognavo di fare diplomazia, ma peccavo nelle lingue. Tentai un dirottamento umanistico tradizionale e, infine, pensando che il poter fare (con giovanile impeto privo di costrutto) l’inviato speciale dei giornali, avrei girato il mondo. La scuola e la crescita anagrafica nel frattempo mi aiutarono ad uscire dai troppi sogni affastellati per provare a seguirne uno, non particolarmente apprezzato in famiglia, la storia! Il tutto non nasceva per combinazione astrale ma l’aver conosciuto uno dei Padri estensori della nostra attuale Costituzione Repubblicana, il Prof. Tomaso Perassi, illustre concittadino, la cui preparazione e conoscenza mi fece pendere, per un certo periodo, verso quel percorso che l’insigne professore e costituzionalista indicava nelle sue chiacchierate, con i più giovani, in incontri ricolmi di fascino e di interesse smisurato verso materie proprietà di pochi. Ebbi modo di ascoltarlo, sino al compimento dei miei vent’anni, quando fui richiesto di condurre una sua presentazione – come oratore ufficiale – in un grande teatro, per il centenario di una Società di Mutuo Soccorso e Istruzione, fondata da Giuseppe Garibaldi. Fu per me un grande coinvolgimento e poi un’apoteosi che non dimentico nella mia ancora fresca maggiore età raggiunta.
Ma quello che riallaccia il mio aver ascoltato, fra la fine degli anni ’40 e ’50, da curioso e niente affatto preparato “discepolo”, il Prof. Tomaso Perassi, con l’attualità contemporanea, è un ricordo che lui rammentava senza enfasi o indugi in quegli anni di boom economico e che si riferiva alla conclusione della prima guerra mondiale e allo scoppio (a seguire) di quella pesante pandemia che si chiamò “hispaniola”, capace di decimare l’Europa, facendo milioni di vittime, che andavano ad aggiungersi ai già troppi militari (e civili) deceduti sui vari fronti continentali.
La tesi di Perassi era, in definitiva, quella di temere che dal processo evolutivo che ogni epidemia porta con sé, al concludersi della sua “strage”, si formino nuove e diverse realtà politiche, talvolta reattive e, quindi, che possano intervenire nella libera conduzione dei singoli Paesi, tali da stravolgerne l’assetto che tendeva ormai verso delle oneste democrazie parlamentari. E citava come, proprio dopo la tremenda “hispaniola” (cui la scienza, alla fine di quel drammatico secondo decennio del ‘900, rispose blandamente), lasciando che il virus completasse il suo diabolico percorso di elevata mortalità! Ma la reazione di una parte dei popoli allora coinvolti, non fu tranquilla. Come il giurista Perassi sottolineava, da quella pesante epidemia nacquero, in un continente che cercava una sua linea di convivenza democratica (aldilà dei revanscismi teutonici, arrivati venti anni più tardi), a breve distanza tre diversi governi autoritari: Spagna, Italia e infine Germania, con quegli effetti che ne seguirono nel Continente, nel Bacino del Mediterraneo e in estremo Oriente. Tre dittature che furono una delle cause del secondo folle conflitto mondiale in cui L’Europa fu uno dei centri più devastati e che comunque produsse la pur contestata Europa dei nostri giorni!
Le cose, che sarebbero poi cambiate a fine guerra, erano andate avanti con i Costituenti che lavorarono durante la guerra come carbonari, per eliminare l’antico e superato “Statuto Albertino” (che ebbe il solo grande pregio di rendere paritetiche le altre confessioni religiose, realizzando l’eguaglianza fra i valdesi e gli ebrei, che vivevano ghettizzati nel Piemonte di avvio ottocento, da tempo immemore).
Già nel 1944, con la “fuga brindisina” e non propriamente regale di Vittorio Emanuele III, il processo per realizzare una nuova libera Costituzione (non più sabauda), prendeva corpo e Tomasso Perassi, nel suo pacato e coinvolgente modo di raccontarsi, nei pomeriggi di una dolce fine estate lacustre, fine anni quaranta, lo diceva. Una giusta misura, descrittiva la sua, che ci incantava mentre idealmente io registravo alcuni passi che, oggi, a distanza di oltre 70 anni – da quegli irripetibili momenti – li rammento con la precisione di un metronomo.
Nel 1949, avevo appena dieci anni e non dimenticavo affatto che c’era modo e tempo anche per giocare! Nell’ampio cortile a Villa Rejna, dell’amico Gianni Marelli (poi importante ingegnere in Ferrari), dalla radiolina di bordo dell’Aurelia 2000 paterna ascoltavamo (ed era la fine di maggio), una cronaca in diretta del Giro d’Italia, in cui il cronista, con decisa enfasi, diceva: “Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco/celeste, il suo nome Fausto Coppi”. Ed era la tappa storica Cuneo-Pinerolo, al termine della quale, in quell’ampio giardino di villa Rejna, con Ganni Mattai del Moro e Dario Parodi-Delfino, ci mettevamo a giocare agli indiani d’America, predisponendo gli archi con le tante palme distribuite nella lussureggiante vegetazione di quella bella dimora. Trascorsero di colpo dieci anni di crescita economica importante (nel 1949 era stata posta la prima firma in Europa dei “Diritti Fondamentali dell’Unione Europea”). Ma nel decennio che seguì una nuova diffusa influenza colpì duramente migliaia di cittadini. Veniva sempre dall’oriente: l’”Asiatica”, che non si fermò il solo inverno, pur non creando ansie più del dovuto e con la medicina ormai capace di frenarne la pericolosità, proseguendo sino ai primi del 1960. Cambiò d’improvviso il Governo. Arrivò Tambroni, con un primo appoggio che proveniva da destra. Le Olimpiadi, con la vittoria di Livio Berrutti e di altri vincitori in discipline diverse ci salvarono da un possibile governo antidemocratico che si percepiva a pelle!
E di storie legate alla salute collettiva ne sono poi seguite diverse negli anni a seguire: Colera, Aviaria, Sars (non Ebola rimasta oltre il Sael), senza che la Costituzione vigente subisse attacchi di nuove forze per un cambiamento, non sollecitato. Poi l’arrivo di questa pestilenziale pandemia, che tutti spingiamo affinché abbandoni il campo e permetta l’avvio della seconda delicata fase – su cui allignano paure diverse – dalla malavita dietro l’angolo, al possibile uso improprio dei fondi, che l’Europa ci darà con evidente scetticismo e in modo rateizzato, che poi dovremo restituire. Con un PIL in caduta libera e il debito pubblico che cresce e la massa di liquidità che serve alle bisogna, dei tanti senza introiti. Ci attendono dopo la fase numero due, una serie di impegnative altre fasi se non vogliamo trovarci ufficiali dell’esercito con compiti di gestione del Paese.
Attendiamo di tornare alle scrivanie, almeno su quelle che rimarranno, in quanto questo grave malessere mondiale ci ha obbligati a far uso (ed abuso) della digitalizzazione (che andrà modificando di fatto lo stato dell’arte che seguirà). Tutti i mercati, certamente bisognosi della massima attenzione ma con necessità di fare chiarezza e dare ordine nelle priorità. Tutto allora cambierà rispetto al recente passato? Non ne sono personalmente convinto, nel giro di poco tempo il mondo intero ripristinerà buona parte dei suoi ritmi, adeguandoli ai nuovi bisogni, anche salutari. Concludendo questo pensiero che ci vede tutti personaggi e interpreti, l’arrivo di tanto denaro fresco potrebbe ingenerare una pressante voglia di andare a nuove elezioni perché, come suggeriva Perassi, sul finire degli anni ’50, le grandi catastrofi ingenerano poi rivolte sociali e l’arrivo di un uomo forte che una parte degli italiani non va cercando. Ma c’è anche chi ritiene, con tanti saluti alle cose che andrebbero fatte seguendo la Costituzione, che i governanti che si sono in qualche modo barcamenati in questa tragedia, rimangano a bordo di quell’unica proclamata barca italiana, dove tutti dovremmo trovarci a bordo, da qualche mese, per provare a condividere non tanto con bandiere e orchestrine ma le sorti complessive di un Paese da sempre fatto così! Espressione geografica di indubbio valore artistico e paesaggistico, assai complesso da gestire soprattutto quando si ammalano i troppi Campanili. (OGC)
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